Buongiorno Gaetano e complimenti per il tuo lavoro che regala sempre spunti interessanti.
Mi sono imbattuto in questa teoria di JP Morgan che sostiene che la Fed sia riuscita a dare un nuovo boost all'S&P500 perché il combinato composto dell'azzeraramento del risk-free rate e la compressione dei corporate credit spread hanno probabilmente un impatto positivo maggiore sulla valutazione azionaria rispetto all'impatto negativo della perdita (temporanea) degli utili.
Di seguito un sunto della stessa.
Mi farebbe molto piacere avere una tua opinione a riguardo.
Partiamo da una considerazione: l'attuale recupero dei mercati è stato il più acuto nella storia dei Bear Market.
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Una tesi suggestiva è quella di J.P. Morgan:
La premessa è che in un disastro naturale come una pandemia, i multipli degli utili dovrebbero salire durante la crisi e poi gradualmente diminuire man mano che gli utili si riprendono. A titolo di esempio, consideriamo un'attività che deve essere temporaneamente chiusa a causa di un'epidemia (ad es. hotel, ristorante, ecc.). Se l'attività viene chiusa per 3 mesi, i ricavi trimestrali scenderanno a zero e gli utili a breve termine saranno negativi. Quindi il P/E tenderà all'infinito. Una volta che l'attività riparte e tornano gli utili, il P/E scenderà dall'infinito e si normalizzerà a un livello sostenibile a lungo termine (diciamo di mid-cycle). Ciò sarà ovviamente vero solo se durante il lockdown il business sopravvive. Si noti che P/E in sé non è una variabile indipendente. Gli utili al denominatore riflettono l'attività commerciale della società ma il prezzo al numeratore è il risultato diretto del positioning, dei flussi e della liquidità del mercato: il P/E è solo un rapporto tra i due. Si noti inoltre che ormai la stragrande maggioranza degli operatori di mercato non opera sulla base del P/E (ad esempio gli investitori sistematici, gli algos, i fondi pensione, il settore assicurativo, gli investitori macro, flussi dei derivati, etc).
La conclusione è che la Fed sia riuscita a dare un nuovo boost all'S&P500 perché il combinato composto dell'azzeraramento del risk-free rate e la compressione dei corporate credit spread hanno probabilmente un impatto positivo maggiore sulla valutazione azionaria rispetto all'impatto negativo della perdita (temporanea) degli utili. Il motivo ovvio è che riducendo i tassi si abbassa il WACC paribus ceteris e quindi il valore attuale viene aumentato perché cresce il peso degli utili futuri più lontani rispetto alla perdita di utili a breve termine. Ciò non vale in un contesto di tassi di interesse elevati, per le società con elevati spread creditizi o in paesi con rischi sovrano e spread elevati.
Nel chart sotto è indicato in blu il tasso di attualizzazione degli utili S&P500 (asse di sinistra) e in rosso la variazione del tasso privo di rischio (IR) e in verde degli spread creditizi Investment Grade in conseguenza delle azioni della Fed (asse di sinistra).
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J.P. Morgan ha calcolato il valore attuale degli utili utilizzando il tasso di sconto applicabile dopo le decisioni della Fed, e deduce che sia sceso di circa 100bps a ~125bps come risultato della riduzione combinata dei tassi privi di rischio e della riduzione degli spread di credito tramite gli acquisti diretti. Ciò fa sì' che il valore attuale degli utili futuri sia superiore al livello pre-crisi assumendo sia un recupero degli utili dopo 6, 12 e 18 mesi. Se la Fed avesse solo tagliato i tassi a zero, ma non ridotto gli spread, il tasso di sconto sarebbe intorno a ~225bps (uguale a quello pre-crisi, ovvero tassi di interesse più bassi compensati da un credito più ampio). In questo caso, il fair value dell'S&P500 sarebbe in calo del 10% circa rispetto ai livelli pre-crisi. Se la Fed non avesse agito per nulla, il tasso di attualizzazione sarebbe di ~325bps e l'S&P500 sarebbe diminuito del 20% circa.
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Bisogna tener presente che il basso livello dei tassi di interesse aumenta la sensibilità dei corsi azionari alle variazioni dell'Equity Risk Premium (ERP) e supporta anche multipli di valutazione assoluta più elevati di quelli raggiunti nei Bear Markets passati, dato un ERP comparabile. Il minimo S&P 500 di 2,237 raggiunto il 23 marzo può essere rappresentato come un premio al rischio azionario estremamente elevato - simile ai massimi storici raggiunti durante la crisi finanziaria nel 2008. Il calo successivo di circa 100bps riflette la riduzione del rischio al ribasso derivante dall'inflessione della curva virale e dal supporto delle politiche.
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