La cautela manifestata in tempi non sospetti dal modello di asset allocation e dall'Outlook di inizio anno, produce ora i suoi effetti: prosegue la correzione dei listini azionari, disturbati dal caos commerciale generato dalla Casa Bianca.

Seduta brutale a Wall Street: la peggiore degli ultimi quasi cinque anni per lo S&P500, che estende la correzione formale inaugurata a febbraio, mentre il Russell 2000 delle small cap USA entra in bear market. Dall’inaugurazione della 47esima presidenza l’indice americano cede ora il 10%: è di gran lunga il peggiore nel G7, con il Messico che beffardamente guadagna a ieri l’8%.
Gli investitori ad inizio anno confidavano neanche tanto velatamente nella Trump put, ed invece hanno scoperto che il presidente rema loro contro. Per tutta la giornata di ieri i membri dell’amministrazione USA hanno rimarcato che i dazi non saranno ritirati (Lutnick) e che non sono negoziabili (Navarro); salvo parzialmente ritrattare dopo la chiusura dei mercati. La fermezza ha indisposto gli investitori, che hanno aggiunto ulteriori realizzi alle vendite iniziali.

Il 9 aprile scade la deadline dell’inasprimento tariffario. Il punto è: chi ha bisogno di sedersi al tavolo delle trattative? Un piccolo suggerimento: negli Stati Uniti il primo decile per reddito è titolare della metà della spesa per consumi, ed al contempo detiene l’87% delle azioni in circolazione. Un bear market può manifestarsi anche in assenza di recessione, ma a sua volta può provocare una recessione da caduta dei consumi.
Il December Low Indicator, la cui attivazione è stata segnalata nel 2025 Yearly Outlook (pagina 201), postulava un drawdown ulteriore del 10.9% dal giorno di setup. In termini di S&P500 questo implicherebbe un approdo poco sotto i 5200 punti, per ossequiare la storia in termini medi. Una ipotesi molto probabile: dal 2000 si contano (solo) sei precedenti di tonfo iniziale del 3%, seguito da ulteriore calo dell’uno percento. In tutti i casi tranne uno ulteriore debolezza è giunta a Wall Street nelle due sedute successive. In media, del 3.4%.

Il mercato a termine ieri prezzava quasi quattro tagli dei tassi ufficiali fino a fine anno. Una ipotesi poco verosimile. Ieri Nick Timiraos, “governatore ombra” della Fed in forza al Wall Street Journal, calcolava un’inflazione al 5% negli Stati Uniti per effetto dei maggiori oneri all’importazione. Questo si lega ad un’economia che continua a fornire segnali preoccupanti: l’ISM Servizi ha deluso le aspettative, e vedremo oggi se i nuovi posti di lavoro a marzo saranno registrati in un confortante range 115-165 mila unità.
Un aspetto non trascurabile della seduta di ieri, è l’abbandono del comodo percorso ascendente manifestato negli ultimi cinque anni negli Stati Uniti dallo Stock/Bond ratio. Questo verosimilmente stasera indurrà il modello di asset allocation a tagliare ulteriormente l’esposizione azionaria, dal corrente 45%; e dall'80-85% mantenuto per due anni fino alla fine di novembre. Bei tempi...