Dopo quasi sei mesi di rialzo, Wall Street concede a ribassisti ed autoesclusi dal bull market, uno sconto simbolico del 2%: basterà per persuadere chi ha voltato le spalle alle borse, preferendo l'illusorio ritorno offerto dai fondi monetari?

Doveva succedere prima o poi: per la prima volta dal minimo di fine ottobre dal quale lo S&P500 si è apprezzato del 27.6%, Wall Street ha concesso giovedì sera ai ribassisti una limatura superiore - di misura - al 2% dal massimo più recente. La domanda di tutti è se questo consolidamento sia destinato comunque ad esaurirsi in tempi brevi, o se ci siano i margini per ulteriori aggiustamenti di prezzo; eventualmente prima di nuovi rialzi.


La frenata di giovedì per il momento non ha trovato seguito. Dopo il pivot dovish concesso da Powell ad agosto, le buone notizie per l'economia sono tali anche per il mercato. Così, le borse hanno accolto favorevolmente il dato sulle buste paga di marzo: ancora una volta massicciamente superiore alla previsione più benigna, benché allineato curiosamente a quanto ventilato in questa sede venerdì mattina. La probabilità che Powell tagli a giugno il costo del denaro, è pari a quella che esca testa dal lancio in aria di una monetina.


Con previsioni medie disattese sul fronte occupazionale in ben 23 degli ultimi 27 mesi, c'è chi ora inizia a mettere in discussione la capacità analitica dell'universo degli economisti: così influente viceversa negli anni recenti nel cementare le aspettative degli investitori e le loro scelte di allocazione di portafoglio. Difatti, come riporta Bloomberg, i fondi monetari hanno ricevuto flussi netti nell'ultima settimana per 82 miliardi di dollari; pari a 1.2 trilioni annualizzati: la seconda lettura più elevata di tutti i tempi. Nessun’altra forma di investimento ha beneficiato di un simile interesse.
A proposito: come riportato nel rapporto settimanale, il nostro modello di asset allocation per la prima volta in cinque mesi riduce l'esposizione sul mercato azionario. Doveroso segnalarlo.


Un mercato che si muove nel segno della continuità: dopo aver superato l'asticella del +15% a fine gennaio, lo S&P500 ha chiuso in progresso superiore al 25% a fine marzo. Una prova di forza sperimentata soltanto altre 5 volte dal 1950: con effetti vistosi nel medio periodo, come si rileva nel Rapporto Giornaliero di oggi.