Raggiunto ieri sera il picco della de-globalizzazione
Giunta a metà della luna di miele con gli elettori-investitori, l'amministrazione Trump fa la voce grossa. Peggio di così la guerra commerciale non potrà rivelarsi, ma Wall Street non gradisce e minaccia i supporti. Ora urge una reazione immediata.
I timori di un annuncio abbastanza scioccante da risultare di gran lunga superiore alle misurate aspettative della vigilia, si sono rivelati fondati: il presidente Trump ha annunciato dopo la chiusura dei mercati, ieri sera, una sventagliata di sanzioni nei confronti di tutti i partner commerciali. Grottesco il criterio di calcolo. È emerso subito come la penalizzazione lamentata dagli Stati Uniti, risultasse pari al deficit commerciale bilaterale, in rapporto alle importazioni. Questo saldo è stato calcolato al 50%, per rappresentare il dazio da applicarsi. Si arriva così per esempio al 20% da applicarsi all’Unione Europea: 128 miliardi di squilibrio a favore dell’UE, rapportati a 333 miliardi di importazioni da parte degli Stati Uniti, sono pari al 39% rappresentato nella tabella presidenziale. La metà, è il 20%...
Astutamente, le penalizzazioni più consistenti saranno lasciate decorrere una settimana dopo l’ordine esecutivo approvato ieri sera. Giusto il tempo di consentire alle controparti una risposta che non sia di natura ritorsiva. Il segretario al Tesoro USA ha segnalato come ieri sera sostanzialmente sia stato raggiunto il picco della de-globalizzazione, lanciando la palla nel campo avverso. Messico e Canada, risparmiati, stanno già negoziando; Giappone, Corea e Vietnam, verosimilmente faranno altrettanto. Rimane da verificare la risposta che sarà recapitata dall’Europa. Non sappiamo come Trump giudichi la reazione sconfortata dei mercati ieri sera, dopo la chiusura ufficiale. Certo, giunta a metà, la luna di miele con gli elettori – siamo a 50 giorni dal giuramento – non è stata del tutto positiva. Dal 1950, il saldo conseguito dallo S&P500 è il terzo peggiore di sempre. Soltanto Nixon nel 1973 e Bush jr nel 2001 fecero peggio dopo i primi cinquanta giorni. In ogni caso, al di là di una reazione nelle prossime settimane, questo inizio a dir poco stentato non depone a favore del resto dell’anno.
Ieri nel momento di massimo panico il future sullo S&P500 è precipitato a 5481 punti. Qui il ribasso dai massimi ritraccia esattamente il 78.6% del rialzo dal minimo di agosto. È l’ultimo diaframma prima di quei minimi. A proposito di Fibonacci, la stagnazione e poi la flessione dell’indice USA, sta provocando una curvatura verso il basso da parte della media mobile a 13 settimane, che minaccia ora la media a 34 settimane. Sembra profilarsi una replica dell’esperienza del 2022. Comunque, una neutralizzazione del segnale invece benigno scattato più di due anni fa. Come titolava anni fa quel quotidiano finanziario, occorre ora «fare presto».
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Giunta a metà della luna di miele con gli elettori-investitori, l'amministrazione Trump fa la voce grossa. Peggio di così la guerra commerciale non potrà rivelarsi, ma Wall Street non gradisce e minaccia i supporti. Ora urge una reazione immediata.
I timori di un annuncio abbastanza scioccante da risultare di gran lunga superiore alle misurate aspettative della vigilia, si sono rivelati fondati: il presidente Trump ha annunciato dopo la chiusura dei mercati, ieri sera, una sventagliata di sanzioni nei confronti di tutti i partner commerciali.
Grottesco il criterio di calcolo. È emerso subito come la penalizzazione lamentata dagli Stati Uniti, risultasse pari al deficit commerciale bilaterale, in rapporto alle importazioni. Questo saldo è stato calcolato al 50%, per rappresentare il dazio da applicarsi. Si arriva così per esempio al 20% da applicarsi all’Unione Europea: 128 miliardi di squilibrio a favore dell’UE, rapportati a 333 miliardi di importazioni da parte degli Stati Uniti, sono pari al 39% rappresentato nella tabella presidenziale. La metà, è il 20%...
Astutamente, le penalizzazioni più consistenti saranno lasciate decorrere una settimana dopo l’ordine esecutivo approvato ieri sera. Giusto il tempo di consentire alle controparti una risposta che non sia di natura ritorsiva. Il segretario al Tesoro USA ha segnalato come ieri sera sostanzialmente sia stato raggiunto il picco della de-globalizzazione, lanciando la palla nel campo avverso. Messico e Canada, risparmiati, stanno già negoziando; Giappone, Corea e Vietnam, verosimilmente faranno altrettanto. Rimane da verificare la risposta che sarà recapitata dall’Europa.
Non sappiamo come Trump giudichi la reazione sconfortata dei mercati ieri sera, dopo la chiusura ufficiale. Certo, giunta a metà, la luna di miele con gli elettori – siamo a 50 giorni dal giuramento – non è stata del tutto positiva. Dal 1950, il saldo conseguito dallo S&P500 è il terzo peggiore di sempre. Soltanto Nixon nel 1973 e Bush jr nel 2001 fecero peggio dopo i primi cinquanta giorni. In ogni caso, al di là di una reazione nelle prossime settimane, questo inizio a dir poco stentato non depone a favore del resto dell’anno.
Ieri nel momento di massimo panico il future sullo S&P500 è precipitato a 5481 punti. Qui il ribasso dai massimi ritraccia esattamente il 78.6% del rialzo dal minimo di agosto. È l’ultimo diaframma prima di quei minimi.
A proposito di Fibonacci, la stagnazione e poi la flessione dell’indice USA, sta provocando una curvatura verso il basso da parte della media mobile a 13 settimane, che minaccia ora la media a 34 settimane. Sembra profilarsi una replica dell’esperienza del 2022. Comunque, una neutralizzazione del segnale invece benigno scattato più di due anni fa. Come titolava anni fa quel quotidiano finanziario, occorre ora «fare presto».