L'incertezza che promana da Washington mette alle corde gli USA
Rendimenti obbligazionari in forte crescita, ma il dollaro continua ad essere liquidato. L'inflazione a marzo sorprende in positivo, ma Powell ha le mani legate e non interverrà sui tassi il prossimo mese. Instabilità destinata a perdurare.
Ancora una seduta pesante, ad un certo punto drammatica, a Wall Street: con una perdita intraday del 6% per metà recuperata in sede di chiusura; non prima di tre oscillazioni del 2% nel giro di due ore. La volatilità la fa da padrona, con gli occhi di tutti paradossalmente puntati altrove: i titoli di Stato USA sono tornati sotto pressione, al pari dello swap spread sul SOFR. L’arretramento di ieri era largamente atteso: non solo per la millimetrica ri-sollecitazione delle resistenze sul FANGMANT e sullo Stock/Bond ratio; ma anche per l’analogo comportamento sperimentato sull’indice S&P500, il giorno dopo una fiammata (https://tinyurl.com/AGEit201) dalle ripercussioni infauste, come commentato ieri mattina.
La grave incertezza che promana da Washington esaspera la volatilità, sullo S&P500 ora clamorosamente superiore a quella del bitcoin, il che è tutto dire; ma anche il rischio di recessione: che ieri Polymarket prezzava di nuovo al 60%, dopo la pausa della seduta precedente. Con un simile contesto caotico, e con i rendimenti obbligazionari in netta risalita, ci si aspetterebbe un dollaro desiderato e pimpante. Ed invece, in una avvisaglia di ribaltamento della narrazione sull’eccezionalismo USA, il biglietto verde ci rimette le penne (https://tinyurl.com/AGEit202), a riprova dell’esodo in atto dal sistema finanziario americano. Ironia del destino, la svalutazione del dollaro aggrava le perdite sulla borsa americana per gli investitori in euro. L’inversione di tendenza in borsa fra Europa e Stati Uniti, avviatasi lo scorso autunno e formalizzata il 19 febbraio, non poteva conoscere consacrazione più netta. E oggi inizia una stagione delle trimestrali che si preannuncia tormentata: non tanto per la dinamica dei profitti, quanto per la probabile revisione dell’orientamento per il futuro da parte degli amministratori.
Così, la notizia di un’inflazione a marzo obiettivamente incoraggiante, è passata perlopiù inosservata. Perché marcata è la convinzione dell’imminenza di una nuova ondata di crescita dei prezzi al consumo supply side. Difatti il mercato a termine prezza ora soltanto una probabilità del 34% di taglio del Fed Funds rate a maggio. Powell teme più una recrudescenza dell’inflazione che un contraccolpo sulla peraltro già traballante ripresa economica. In Europa la volatilità è meno estrema, con il VStoxx salito oltre i 45 punti. L’ultimo estremo analogo risale ad inizio agosto, e la circostanza fu di tutto conforto. Ma l’esame storico raffredda gli entusiasmi. Questo, mentre a Piazza Affari la capitolazione dell’altro giorno non riceve beffardamente conferma, con la chiusura di ieri di misura sotto il livello di attivazione; e con il Panic Index che non accenna a rientrare da una abbondante tripla cifra.
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Rendimenti obbligazionari in forte crescita, ma il dollaro continua ad essere liquidato. L'inflazione a marzo sorprende in positivo, ma Powell ha le mani legate e non interverrà sui tassi il prossimo mese. Instabilità destinata a perdurare.
Ancora una seduta pesante, ad un certo punto drammatica, a Wall Street: con una perdita intraday del 6% per metà recuperata in sede di chiusura; non prima di tre oscillazioni del 2% nel giro di due ore. La volatilità la fa da padrona, con gli occhi di tutti paradossalmente puntati altrove: i titoli di Stato USA sono tornati sotto pressione, al pari dello swap spread sul SOFR.
L’arretramento di ieri era largamente atteso: non solo per la millimetrica ri-sollecitazione delle resistenze sul FANGMANT e sullo Stock/Bond ratio; ma anche per l’analogo comportamento sperimentato sull’indice S&P500, il giorno dopo una fiammata (https://tinyurl.com/AGEit201) dalle ripercussioni infauste, come commentato ieri mattina.
La grave incertezza che promana da Washington esaspera la volatilità, sullo S&P500 ora clamorosamente superiore a quella del bitcoin, il che è tutto dire; ma anche il rischio di recessione: che ieri Polymarket prezzava di nuovo al 60%, dopo la pausa della seduta precedente.
Con un simile contesto caotico, e con i rendimenti obbligazionari in netta risalita, ci si aspetterebbe un dollaro desiderato e pimpante. Ed invece, in una avvisaglia di ribaltamento della narrazione sull’eccezionalismo USA, il biglietto verde ci rimette le penne (https://tinyurl.com/AGEit202), a riprova dell’esodo in atto dal sistema finanziario americano.
Ironia del destino, la svalutazione del dollaro aggrava le perdite sulla borsa americana per gli investitori in euro. L’inversione di tendenza in borsa fra Europa e Stati Uniti, avviatasi lo scorso autunno e formalizzata il 19 febbraio, non poteva conoscere consacrazione più netta.
E oggi inizia una stagione delle trimestrali che si preannuncia tormentata: non tanto per la dinamica dei profitti, quanto per la probabile revisione dell’orientamento per il futuro da parte degli amministratori.
Così, la notizia di un’inflazione a marzo obiettivamente incoraggiante, è passata perlopiù inosservata. Perché marcata è la convinzione dell’imminenza di una nuova ondata di crescita dei prezzi al consumo supply side. Difatti il mercato a termine prezza ora soltanto una probabilità del 34% di taglio del Fed Funds rate a maggio. Powell teme più una recrudescenza dell’inflazione che un contraccolpo sulla peraltro già traballante ripresa economica.
In Europa la volatilità è meno estrema, con il VStoxx salito oltre i 45 punti. L’ultimo estremo analogo risale ad inizio agosto, e la circostanza fu di tutto conforto. Ma l’esame storico raffredda gli entusiasmi. Questo, mentre a Piazza Affari la capitolazione dell’altro giorno non riceve beffardamente conferma, con la chiusura di ieri di misura sotto il livello di attivazione; e con il Panic Index che non accenna a rientrare da una abbondante tripla cifra.