Il CPI Day anticipa turbolenza e volatilità. È ancora concreta la possibiità di un ripiegamento fino alla prossima scadenza ciclica, ma i nuovi massimi storici delle borse dovrebbero sollecitare l'entusiasmo degli investitori. Così finora non è stato: colpa dei guru.
È giunto dunque l’atteso giorno del rilascio del dato sull’inflazione negli Stati Uniti nel passato mese di aprile. La misura headline è attesa in crescita del 3.4%, con previsioni che oscillano in 30 punti base. Sempre secondo Bloomberg, il CPI core è previsto a +3.6%, con proiezioni che vanno fra il 3.5 ed il 3.7%. L’ultima volta che l’inflazione americana ha sorpreso al ribasso risale ad agosto: da allora tutti i rilasci sono risultati superiori alle attese. JP Morgan segnala il rischio di turbolenze e volatilità, dopo un periodo relativamente quieto. Il prezzo delle opzioni straddle suggerisce la concreta probabilità di una variazione finale superiore al punto percentuale, in valore assoluto. Il fatto che ambo i mercati finanziari di riferimento (rappresentati dagli ETF “SPY” e “TLT”) abbiano fatto registrare minimi crescenti ieri per la terza seduta consecutiva, orienterebbe negativamente per la seduta di oggi.
Ma questo non ha impedito ai listini azionari di festeggiare ieri un nuovo massimo storico a Times Square, con Wall Street che seguirà a ruota. Anche Piazza Affari ha celebrato un nuovo massimo assoluto in termini total return. Evidentemente anche il “Sell in May” ha deluso le speranze di sempre più frustrati analisti ed investitori autoesclusisi dal bull market. Eppure era abbastanza evidente come lo S&P500 fosse destinato a non cedere più del 5% dal livello più elevato raggiunto alla fine di marzo. Come rilevato a suo tempo, era ragionevole comprare con la prima quotazione di S&P500 inferiore ai 5.000 punti. Ci si aspetterebbe la fanfara dei Tori dalle parti di Broadway, ed invece i toni negativi, quando non apocalittici, prevalgono.
Con riferimento ai 21 strategist interpellati da Bloomberg, la previsione media e mediana per lo S&P500 per la fine dell’anno, si colloca a 5065 e 5170 punti, rispettivamente. Implicherebbe un mercato al meglio invariato nei prossimi 7 mesi e mezzo. Peccato che il consenso sbagli sempre... Dal 2000 ad oggi, in altre sei occasioni i guru hanno profetizzato un mercato al meglio invariato a questo punto del calendario, e fino alla fine dell’anno. In tutti i casi il mercato ha disatteso in positivo le eccessivamente caute aspettative, fornendo in 5 occasioni una performance superiore al +12%. L’elenco dei profeti di sventura è interminabile: Gary Shilling anticipa un crollo del 30%, il solito John Hussman non si sorprenderebbe di un crash del 65%, BCA Research anticipa anch’essa una recessione e conseguentemente un declino delle azioni del 30%, Rosenberg scorge segnali di hard landing... Il Toro sentitamente ringrazia. Una performance come quella recente si registra tipicamente dopo le correzioni, e prima di allunghi verso l’alto. I massimi storici sono destinati ad essere sbriciolati anche sullo S&P500.
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È giunto dunque l’atteso giorno del rilascio del dato sull’inflazione negli Stati Uniti nel passato mese di aprile. La misura headline è attesa in crescita del 3.4%, con previsioni che oscillano in 30 punti base. Sempre secondo Bloomberg, il CPI core è previsto a +3.6%, con proiezioni che vanno fra il 3.5 ed il 3.7%. L’ultima volta che l’inflazione americana ha sorpreso al ribasso risale ad agosto: da allora tutti i rilasci sono risultati superiori alle attese.
JP Morgan segnala il rischio di turbolenze e volatilità, dopo un periodo relativamente quieto. Il prezzo delle opzioni straddle suggerisce la concreta probabilità di una variazione finale superiore al punto percentuale, in valore assoluto. Il fatto che ambo i mercati finanziari di riferimento (rappresentati dagli ETF “SPY” e “TLT”) abbiano fatto registrare minimi crescenti ieri per la terza seduta consecutiva, orienterebbe negativamente per la seduta di oggi.
Ma questo non ha impedito ai listini azionari di festeggiare ieri un nuovo massimo storico a Times Square, con Wall Street che seguirà a ruota. Anche Piazza Affari ha celebrato un nuovo massimo assoluto in termini total return. Evidentemente anche il “Sell in May” ha deluso le speranze di sempre più frustrati analisti ed investitori autoesclusisi dal bull market.
Eppure era abbastanza evidente come lo S&P500 fosse destinato a non cedere più del 5% dal livello più elevato raggiunto alla fine di marzo. Come rilevato a suo tempo, era ragionevole comprare con la prima quotazione di S&P500 inferiore ai 5.000 punti. Ci si aspetterebbe la fanfara dei Tori dalle parti di Broadway, ed invece i toni negativi, quando non apocalittici, prevalgono.
Con riferimento ai 21 strategist interpellati da Bloomberg, la previsione media e mediana per lo S&P500 per la fine dell’anno, si colloca a 5065 e 5170 punti, rispettivamente. Implicherebbe un mercato al meglio invariato nei prossimi 7 mesi e mezzo. Peccato che il consenso sbagli sempre...
Dal 2000 ad oggi, in altre sei occasioni i guru hanno profetizzato un mercato al meglio invariato a questo punto del calendario, e fino alla fine dell’anno. In tutti i casi il mercato ha disatteso in positivo le eccessivamente caute aspettative, fornendo in 5 occasioni una performance superiore al +12%.
L’elenco dei profeti di sventura è interminabile: Gary Shilling anticipa un crollo del 30%, il solito John Hussman non si sorprenderebbe di un crash del 65%, BCA Research anticipa anch’essa una recessione e conseguentemente un declino delle azioni del 30%, Rosenberg scorge segnali di hard landing...
Il Toro sentitamente ringrazia. Una performance come quella recente si registra tipicamente dopo le correzioni, e prima di allunghi verso l’alto. I massimi storici sono destinati ad essere sbriciolati anche sullo S&P500.